Sindrome di Stendhal e crescita personale!

Forse ti è capitato di sentirti estasiato o un po’ euforico nel vedere un’opera d’arte, ma sapevi che possono provocare anche delirio, vertigini, tachicardia?

Sì, sì, possono, perché sono tutti effetti della cosiddetta sindrome di Stendhal.

Questo articolo serve per capire perché un’opera d’arte può avere un tale impatto su di noi, e allo stesso tempo vedere perché può favorire la crescita interiore attraverso la bellezza, l’estasi, senza dover passare attraverso disagio o sofferenza.

Cos’è la sindrome di Stendhal

Il nome di questa sindrome è stato dato in onore dello scrittore con lo pseudonimo Stendhal che visse a Milano agli inizi del 1800, quando Milano era capitale dell’impero di Napoleone Bonaparte.

Quando Stendhal fece un viaggio a Firenze nel 1817, rimase estasiato dalla sublime bellezza della Chiesa di Santa Croce. Dopo averla lasciata cominciò ad avvertire tachicardia e vertigini.

Ne scrisse in uno dei suoi libri e nel 1977 un medico dell’ospedale del centro di Firenze, la psichiatra Graziella Magherini, notò che più di 100 pazienti nell’arco di un anno presentavano sintomi simili dovuti all’esposizione alla città di Firenze.

Così ha chiamato questi disturbi Sindrome di Stendhal: significa letteralmente sentirsi male davanti alle opere d’arte, a causa della troppa bellezza.

Turismo dell’anima

Viaggiatori illustri come Freud, Dostoevski, Proust, Goethe, Carl Jung, Stendhal, Ruskin e tanti altri parleranno del viaggio come turismo dell’ANIMA.
E come il Dott. Spiega Graziella Magherini nel suo libro “Sindrome di Stendhal”: “il viaggio tanto atteso si trasforma in una dinamica interiore ricca e fruttuosa”.

Nei casi da lei analizzati, che sono stati 106, la maggioranza erano donne che viaggiavano sole dall’Europa occidentale.

Secondo l’autore, la sindrome può essere spiegata dalla scarsa capacità di una persona di elaborare razionalmente emozioni o elementi – nella maggior parte dei casi subconsci – che emergono senza preavviso e colgono la persona alla sprovvista, generando una reazione psicosomatica a volte spiacevole.

Il caso del signor Barry

Riporterò qui uno dei casi tratti dal libro di Magherini, che è la storia di uno dei suoi pazienti, il signor Barry.
È un americano che viaggia con la moglie a Firenze. Ha una formazione universitaria e un’ottima posizione economica come operatore finanziario. Ma è un uomo d’affari atipico, perché dà più importanza a cose come la letteratura, la poesia e non si identifica con i rituali del denaro.

Così mentre camminava per le strade di Firenze finì per fare l’esperienza di sentirsi due allo stesso tempo: avvertì una doppiezza, una separazione ben definita tra la sua personalità e se stesso.

Descrive in modo molto preciso quello che gli è successo: “avevano 2 UE; si era sicuri, aperti e affascinati dal senso profondo della storia, della mescolanza dei secoli. Ho sentito il passato entrare nel presente in ogni momento.
L’altro medico legale era spaventato, depresso e voleva dormire”.

Alla fine si è sentito male ed è stato portato in ospedale, curato e poi ha potuto continuare il suo viaggio.

Viaggiare come modo per forgiare il personaggio

È soprattutto l’impatto sull’arte italiana a scatenare queste reazioni esagerate.
La psichiatra Graziella dice che viaggiare fin dall’antichità (soprattutto nell’antica Grecia, a Roma e nel Rinascimento, e Firenze è la culla del Rinascimento) era un modo per migliorare la formazione del carattere affinché potesse affinarsi.

Nel Rinascimento, ad esempio, l’umanista è incoraggiato a vivere un’esperienza di distacco dalle proprie radici nell’ignoto, nell’inaspettato, nel contrasto tra culture diverse. Per lui il viaggio è un “laboratorio errante”.

Come avere una crescita personale attraverso il viaggio che esplora la bellezza?

L’umanista ha un vivo desiderio di decodificare l’arte e la conoscenza dell’antichità e di aggiungervi una coscienza critica. Elabora l’emozione con cognizione, man mano che prende coscienza di ciò che affiora in superficie e lo analizza criticamente, con sguardo distaccato.

L’uomo del Rinascimento si emoziona quando comincia a capire, ad avere più consapevolezza di ciò che sta osservando, imparando attraverso l’esperienza diretta.

L’arte classica, degli antichi Greci, dei Romani e del Rinascimento (che fece rivivere Greci e Romani) mirava a realizzare i grandi ideali della filosofia socratico-platonica del “conosci te stesso”, e a muoversi verso un ideale umano molto vicino a quello l’idea del divino: è un’arte che vuole elevare l’essere umano a una condizione quanto più vicina possibile al divino che esiste dentro di sé.

Gli artisti avevano il chiaro intento di voler provocare lo spettatore, l’arte del Rinascimento è ancora oggi ben conservata, a differenza dell’arte medievale che è stata fatta per onorare il sacro, a Dio, nel Rinascimento è umanista, vuole toccare nel profondo dell’essere umano per ricordargli di conoscere se stesso, cercare la verità e scoprire il divino dentro di sé.

Spirito aperto per esplorare le tue parti più intime

Quindi, mentre l’uomo del Rinascimento è imbevuto di questi ideali e pronto a viaggiare con una mente aperta all’esplorazione, molti turisti oggi non partono con lo stesso presupposto.

Allora quando ti imbatti in una città come Firenze piena di arte alchemica, che è un’arte che tocca le tue parti più intime, vere e profonde, quelle che cercano il senso, il divino in sé, ti chiedi se stai andando alla ricerca della realizzazione personale.

Ecco perché toccano così profondamente, soprattutto quelle parti di noi che non vogliamo vedere. Ecco perché, se il viaggiatore non ha una preparazione cognitiva a questo scopo, attraversa stati di catarsi, si sente male, poiché il corpo reagisce fisicamente, portando dolorosamente in superficie aspetti di sé soffocati, latenti o nascosti, evitati a tutti i costi. , poiché sono loro che devono essere affrontati.

L’opera d’arte come canale di apertura della coscienza

L’opera d’arte diventa un canale che veicola qualcosa che è stato trascurato,
lasciato da parte o dimenticato. Porta questa consapevolezza, ma questo non sempre è chiaro a chi vive un disagio, molti non si rendono conto che questi aspetti che fioriscono potrebbero aiutarli a superare le difficoltà e andare verso il miglioramento personale.

Ecco perché per me la Sindrome di Stendhal è molto reale, e particolarmente interessante nel farci capire che tutto è vivo e comunicante. Ed ecco perché è così importante valorizzare queste arti, perché ci ricordano che possiamo raggiungere il nostro potenziale più alto.

Isa

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